C’è un mondo parallelo a un passo dal nostro incredibilmente vivace, formato da vere e proprie città solo parzialmente isolate le une dalle altre per via di lingue diverse. Ci vivono milioni di persone in apparente solitudine, in realtà spendendo parte delle loro giornate per interagire con altri, conoscere nuovi altri e, potendo, ficcare volentieri il naso nelle cose degli altri. Questo mondo parallelo è Facebook e la nostra città è Facebook-Italia.

Non ero d’accordo ma alla riunione mensile svoltasi quel pomeriggio la decisione fu presa e io messo in minoranza. Quegli antipatici con così tanti “Mi Piace”, secondo noi totalmente immeritati, meritavano invece una lezione. Non era giusto che solo grazie ad abili operazioni di facciata riuscissero a sbolognare tutti quei gioielli, già generoso chiamarli in questo modo, e per giunta con profitti tanto alti. Già! Sconti impressionanti? Lasciate moltiplicare per 2 il reale valore di una cosa e anche uno sconto del 50% diventa praticabile. Prezzi allettanti? Possibile che esistano ancora allocchi così sprovveduti da farsi influenzare dalla tecnica del 9,99 vecchia come il gioco delle 3 carte? C’è qualche differenza tra un prezzo di 100 euro e uno di 99,99 euro? Sì, in effetti c’è ed ha anche un nome, si chiama presa per il… bip…! Norberto, il rappresentante dell’area 1, era stato chiaro, serviva un’azione drastica che indebolisse quelle carogne.

L’appuntamento era per le prime ore del mattino quando tutte le pagine Facebook dormono sonni profondi. Ci saremmo calati in cinque usando corde e ventose per superare le lisce pareti della nostra pagina uscendo dalla foto di copertina per guadagnare direttamente il cuore di Facebook-Italia. Una volta raggiunto il nostro obiettivo avremmo gettato rampini e sempre contando su robuste ventose ci saremmo arrampicati sulla pagina incriminata della quale avevamo già studiato ubicazione e pianta. Una volta all’interno dopo aver indossato apposite maschere avremmo distrutto manualmente con acido lo stock dei tanti “MI Piace” rendendoli irrecuperabili. Questo era il piano.

Alle 3 in punto, come stabilito, ci siamo ritrovati sulla nostra pagina. Tutti meno Arnaldo che ancora non si vedeva. Quando poi è arrivato era trafelato << Avevo dimenticato a casa la maschera e le nuove torce LED appena acquistate in rete, di notte laggiù è buio pesto >>. << Ok andiamo, è già tardi >> sibilò Gaetano, poi gelido rivolto ad Arnaldo che parve accusare il colpo << sei sempre il solito >>.

Calarsi dalla foto di copertina come programmato non fu agevole. La pagina era più alta del previsto e la lunghezza delle corde insufficiente. A oltre due metri da terra dovemmo saltare e non fu facile appesantiti come eravamo da tutta quella roba che portavamo negli zaini. Mi sono quasi slogato un piede arrivando a terra.

I vicoli, perché di questo si tratta, all’interno di Facebook-Italia sono davvero bui. Dove finiscono i tanti soldi degli inserzionisti, tutti alla casa madre? Giusto un fioco lampioncino ogni 50 metri. Dura saper dove mettere i piedi con un pavimento oltretutto pieno zeppo di messaggi eliminati, immagini di copertina soppiantate, condivisioni annullate e chissà cos’altro di scaduto. Ma nessuno si cura di pulire quaggiù? Ho tirato su una foto a caso. Illuminata dalla torcia la faccia di un ragazzino, alle spalle un grosso albero con su inciso un cuore trafitto da freccia e, più in basso un nome: Valentina. Ecco la solita storia, ho pensato. Esaltante all’inizio e finita, come quasi sempre succede in rifiuti indifferenziati; un altro albero intanto brutalmente tatuato per niente. Ho buttato la foto e con una breve corsetta ho raggiunto gli altri che già si stavano allontanando.

Ci siamo fermati a consultare la carta. Pensare di usare i navigatori dei cellulari quaggiù sarebbe stato da sprovveduti, come previsto infatti neppure una tacca ma per restare in contatto nell’emergenza avevamo tutti un walkie talkie ciascuno, mai a corto di campo.

La pagina da raggiungere era nella parte vecchia di Facebook-Italia ancora piuttosto distante. Dovevamo traversare prima di tutto il quartiere delle pagine sportive, scendere nella zona dei nuovi insediamenti e risalire su verso il centro storico. In quei paraggi era situato il nostro obiettivo.

Dopo circa mezz’ora di cammino a passo sostenuto ci stavamo lasciando alle spalle la parte bassa della città e ora, in quest’ultimo tratto verso il centro storico, la salita si stava facendo davvero ripida. Sulla sinistra scorreva tranquillo il piccolo quartiere straniero, pagine estere alla conquista del mercato italiano; quelle, per intenderci, con i “Like” al posto dei “Mi piace” mentre sulla destra, in posizione dominante, il quartiere bene, quello esclusivo, solo pagine dai trecentomila “Mi piace” in su. Strade larghe e ben tenute, realizzazioni imponenti.

Ovvio che non tutto in città è così ben diviso e urbanisticamente ordinato. Esistono anche qua pagine di dubbia impostazione che si sviluppano nei posti più impensati, in piccoli agglomerati dov’è pericoloso avventurarsi anche di giorno. Sono pagine nate con scopi non propriamente umanitari se non truffaldini ma la vigilanza è notevole e il problema è circoscritto; forse non è neppure un problema

E siamo arrivati! La pagina oggetto della nostra missione era proprio lì davanti a noi. A ben guardarla niente di eccezionale. Già da fuori si intuiva il bluff per cui era stata costruita. Alta più della media e costruita con materiali sì appariscenti ma di nessuna sostanza. Sarebbe potuto venir giù tutto alla prima seria difficoltà.

Abbiamo tolto dagli zaini l’attrezzatura necessaria, ci siamo guardati l’un l’altro come ultimo gesto d’intesa e nel più assoluto silenzio abbiamo iniziato l’arrampicata. Se superare la parete liscia della pagina sarebbe stato ostacolo insormontabile per una scalata classica, per le super ventose che avevamo sistemato ai gomiti e alle ginocchia era roba da ragazzini. Maurizio, che aveva il compito di forzare la prima finestra utile era già al lavoro e quasi subito un leggero schianto la conferma che il varco era aperto.

Nessun sistema di allarme a complicarci le cose. D’altra parte perché preoccuparsi di visite indesiderate in un ambiente dove la proprietà privata praticamente non esiste? Ogni pagina allestita diventa automaticamente proprietà di Facebook compreso tutto quanto al suo interno escluso pochi effetti personali. Nessuna ragione quindi per temere violazioni a scopo di furto quando per di più, nel caso di aziende tutto è così personalizzato da essere quasi inutilizzabile da terzi. Non succede neppure per timore della polizia locale che pure esiste ma non certo per pattugliare strade. È perennemente seduta ai monitor impiegata più che altro come forza deterrente a evitare disordini e soprattutto a censurare, coadiuvata da potenti algoritmi, comportamenti che si discostino anche solo leggermente da quello che il puntiglioso regolamento generale prevede.

Ed eravamo all’interno. La luce schermata ma intensa dei LED proiettava spot che illuminavano a giorno le aree colpite lasciando però nell’oscurità più totale quanto al di fuori dei loro stretti fasci di luce garantendoci ottima manovrabilità. Le stanze che ora si aprivano sul corridoio principale avevano tutte la loro bella targa di assegnazione d’uso facilitandoci il compito. Quella da dove siamo penetrati e poi usciti noi era quella delle notifiche, quella dei “Mi piace” doveva essere poco più avanti. Certo la curiosità di bracare in quella dei messaggi privati, ora lì davanti a me, era davvero forte. Un attimo d’indecisione e mi sono sentito picchiettare sulla spalla. << Marcello >> e poi sottovoce, scambiando Gaetano la mia tentazione per un errore di obiettivo << guarda che è qui >> e mi ha sbattuto sotto il naso la pianta della pagina puntando il suo ditone sulla stanza corretta. << Ok! Ok! >> ho risposto raggiungendo veloce Maurizio già impegnato a forzare la porta dei “Mi piace”

La stanza era piuttosto grande. Gli oltre centomila “Mi piace” erano ordinatamente accatastati su una robusta scaffalatura che occupava due intere pareti, divisi e cartellinati per sesso, età e provenienza. Come anche nella nostra pagina quelli femminili erano in misura soverchiante rispetto a quelli dei maschietti che occupavano sì e no un unico ripiano; scontato visto il settore merceologico. Anche dall’estero ben poca roba nonostante che questi spocchiosi si vantassero di aver conquistato mezzo mondo con i loro gioielli. Qualcosa dalla Spagna, ancor meno da Francia e Germania e poi sparuti “Mi piace” da varie località ma così pochi da essere ininfluenti ai fini di una patente d’internazionalità.

Non c’era tempo da perdere però. Radunato tutto l’acido di cui disponevamo al centro della stanza e messe le maschere, abbiamo riempito fino all’orlo i tre irrigatori manuali che ci eravamo portati dietro. In breve tutta la scaffalatura era ben annaffiata e già i “Mi piace” cominciavano ad accartocciarsi, a contorcersi, per infine squagliarsi friggendo l’uno sull’altro. In capo a un’oretta l’acido avrebbe completato il suo effetto e ben poco si sarebbe salvato alla fine di quel trattamento.

Norberto, principale fautore di questa operazione, avrebbe voluto andare anche oltre accarezzando l’idea di dar fuoco a tutto ma per noialtri questo era più che sufficiente, forse addirittura troppo. Comunque quello che era fatto era fatto, peccato non poter vedere le facce sicuramente esterrefatte che si sarebbero presentate in questa stanza di lì a poche ore.

Raccolte tutte le nostre cose siamo usciti nel corridoio togliendoci le maschere. L’aria era già quasi irrespirabile anche lì. Di corsa ora per allontanarci in fretta dai fumi dell’acido e raggiungere la finestra dalla quale eravamo entrati per ricalarci giù. La missione era conclusa.

Il ritorno alla nostra pagina è stato ancor più agevole dell’andata. Alleggeriti nel carico, in discesa e grazie alla scelta di prendere per il rione degli animali domestici dove le pagine sono sempre le prime ad accendersi al mattino superfluo anche l’uso delle torce. È stata quasi una passeggiata.

Ed eccoci davanti alla nostra, quasi un che di nostalgia. Di nuovo fuori le ventose e velocemente su. Siamo rientrati dalla foto di copertina che albeggiava. Un bel cinque a dieci mani e via a casa per un irrinunciabile sonnellino.

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