Una pietra nera è una pietra nera, ma non tutte le pietre nere sono uguali.

Tralasciando un paragone improprio con i marmi, i materiali di origine meteoritica o vulcanica come l’ossidiana, quelli di origine organica come certi coralli o il giaietto e ovviamente le pietre artificiali o colorate, pochissime gemme come lo spinello, la tormalina o il granato si presentano a volte in questa colorazione assoluta. Anche alcune varietà di agata, del diaspro, del diopside e perfino dello zaffiro ci provano, ma senza convinzione; il nero è meno esteso, meno profondo, screziato o cangiante oppure, come nel caso dello zaffiro, più semplicemente non è nero ma un blu molto molto scuro.

E’ d’obbligo contestare qui la stra-abusata denominazione “onice nero” che attiene a quella varietà di agata (calcedonio) mai del tutto nera poiché include bande ravvicinate di colore chiaro ad andamento curvilineo difficilmente evitabili nell’operazione di taglio e che è attribuita invece con allegria a tutte le agate nere in circolazione che sono, sempre e comunque, artificialmente colorate.

Lo spinello, posizionato in alta classifica tra le pietre preziose, può vantare, al variare delle sostanze chimiche che lo compongono e a come le stesse si combinano tra loro, un vasto guardaroba di trasparenti colori: dall’insolito blu, al viola, al rosa e su su fino al rosso rubino. Quest’ultima denominazione lascia già intendere quale sia stata in passato la difficoltà per distinguerlo dal rubino vero e proprio e, non a caso, alcune tra le più celebri gemme ritenute in precedenza rubini, grazie a più moderni strumenti d’esame, si sono poi rivelate spinelli rossi. A dispetto del nome, ad esempio, il “Rubino del Principe Nero” (170 carati) o il Timor Ruby (361 carati!), entrambi oggi proprietà della Corona inglese, sono in realtà eccezionali spinelli di questo colore. Naturalmente non si sposta di una virgola il valore tecnicamente incalcolabile di queste enormi pietre, più semplicemente e per amor di verità, sono etichettate finalmente con la formula corretta.

In caso di elevata concentrazione di ossidi di ferro, lo spinello perde la sua trasparenza ed esibisce un “modaiolo” abito nero. Un nero assoluto e cristallino che gli fa guadagnare l’antipatico nome scientifico di “Pleonasto”. Nella confusione generale non manca neppure chi, con disinvoltura e degradandolo sul campo, lo etichetta come onice nero che, come abbiamo visto, è invece cosa ben diversa, ma questa è un’altra storia. Collocandosi all’ottavo gradino della scala Mohs, lo spinello sconfigge in durezza pietre ben più blasonate e costose assicurando un utilizzo esente da graffi anche in caso di accidentali sfregamenti con i materiali più duri, incluso l’acciaio.

Lo spinello nero si estrae oggi quasi esclusivamente in Thailandia (ed è comunque da qui che viene il materiale più denso e del quale ci occupiamo) nella zona mineraria di Bo Phloi, 200 km circa a Nord-Ovest di Bangkok, due passi dal tristemente famoso “Ponte” sul fiume Kwai. Il “Nin”, come è chiamato da queste parti, galleggia in strati superficiali del terreno sotto forma di pepite nere spesso in associazione a sottostanti giacimenti di zaffiri. Le pepite, a prezzo di qualche venatura, possono anche raggiungere dimensioni considerevoli, fino a superare agevolmente la grandezza di una pallina da golf. Il materiale migliore, uniforme e compatto, viene tagliato e sfaccettato in loco da piccoli laboratori familiari maestri nell’esaltare la luce calda e discreta di questa gemma nera mentre agli abili artigiani di Bangkok è demandata la realizzazione finale del gioiello con forme sempre nuove di lucido argento. Connubio perfetto!

Per una pietra di così nobili origini e ostica alla lavorazione per la sua durezza, può meravigliare un prezzo di mercato tutt’ora eccezionalmente contenuto. Ciò è dovuto allo scarso interesse che da sempre gli addetti locali, indirizzati prevalentemente nella più redditizia produzione dello zaffiro, hanno dimostrato per lo spinello nero, delegando la cura di quest’ultimo alle famiglie più disagiate disposte a lavorare per la sopravvivenza. Oggi però, a fronteggiare la crescente richiesta del mercato per gemme nere di qualità, sta subentrando lo sfruttamento intensivo dei giacimenti con una crescita esponenziale del numero di addetti che lascia intravedere, a non lungo termine, la rarefazione del prodotto ed il conseguente incremento del suo prezzo, già adesso determinato in carati.

@Marcello Parrini (2008)

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