E’ un fatto che la maggior parte delle persone attribuisca alle pietre preziose un’aurea di naturalezza difficilmente scalfibile. Accertata la loro genuinità diventa quasi scontato che quanto ora tra le loro mani è unicamente l’affascinante prodotto di concause naturali. Personalmente ho conosciuto gente convinta perfino che, al pari di quanto avviene nella miniera dei sette nani, le pietre preziose si trovino già nei loro bei colori distintivi, lucide e tagliate nelle giuste proporzioni, in cave ben ubicate e subito dietro piccoli strati di roccia facilmente asportabili con qualche azzeccato colpo di piccone. Il fatto che quasi tutte le pietre fin da grezze subiscano, a prescindere dal taglio, trattamenti tesi a migliorarne il colore, la trasparenza ed in definitiva l’appetibilità, leggi prezzo, sembra noto solo agli addetti ai lavori e a qualche sparuto appassionato. Trattamenti con risultati certamente irreversibili e di difficile diagnosi a posteriori ma comunque artificiali. A questi non poteva certo sottrarsi il rubino, la più pregiata varietà del corindone, il gruppo minerale che include anche lo zaffiro. Secondo per durezza, ma non necessariamente per valore, solo al diamante, divide con lo smeraldo il trono di pietra di colore più preziosa. Il rosso meraviglioso con il suo giusto grado di trasparenza però non sempre può essere garantito dalla natura anzi, le variabili in gioco sono troppe, così grazie a consumate manipolazioni a base di calore, si supplisce a quanto la natura non ha potuto fare.

Ora, le recenti scoperte di sempre nuovi giacimenti di rubino (corindone) nell’Africa subsahariana orientale (Madagascar, Mozambico, Kenya e soprattutto Tanzania) stanno fornendo al mercato ulteriori opportunità. Insieme a pietre di tutto rispetto il grosso del materiale qui rinvenuto non è certo paragonabile a quello da sempre estratto e lavorato nel Sud-Est asiatico (Birmania, Tailandia e più di recente Vietnam) tipicamente destinato alla gioielleria anzi, si potrebbe quasi definire, con le dovute eccezioni, un parente povero di questo. Il colore decisamente spento e l’abbondanza di microfratture farebbero pensare piuttosto ad un materiale da scarto. Ma la sua pur sempre nobile appartenenza e soprattutto la sua notevole, a volte perfino enorme, pezzatura abbinate a moderne tecniche di recupero e valorizzazione ne consentono un uso più spregiudicato, perfetto per la gioielleria in argento sempre più in competizione con quella in oro. Abbiamo così rubini di dimensioni talmente grandi diversamente impossibili da reperire ed a una frazione del prezzo che avrebbero altrimenti, forse neppure alla portata di ben disposti milionari.

 

Come classificare questi rubini che hanno fatto la loro prima comparsa sul mercato da neanche un decennio? In inglese la denominazione gemmologica ufficialmente accettata è “Lead-Glass Filled Ruby” traducibile in italiano con un non altrettanto elegante “Rubino Riempito Di Vetro Al Piombo”. La definizione, pur corretta, dà però un idea distorta della verità. Ad essere riempite di queste speciali paste vitree, contemporaneamente al processo di riscaldamento del grezzo tra i 1000 e i 1300 gradi per il miglioramento del colore e della trasparenza, sono infatti solo le tante microfratture presenti nella pietra la quale mantiene però una sua autonoma compattezza tanto che le più microscopiche si autoriempiono per espansione al calore senza assorbire nessun corpo estraneo. E comunque la pietra è e resta sostanzialmente corindone. In fondo solo un passo in più rispetto alle manipolazioni tradizionali. Il prodotto ottenuto, anche una volta tagliato, rimane facilmente distinguibile dal rubino che non ha subito questo ulteriore trattamento, ma solo alla lente e solo se posta sotto occhi esperti. Il colore ora è accettabile e decisamente stabile anche a lungo sottoposto ai raggi UV e le microfratture magicamente scomparse grazie all’ottima rifrazione del vetro al piombo iniettato a forza in quelle microfessure. Abbiamo insomma un rubino sì “economico” ma che può fregiarsi di essere tale e fare anche la sua “porca” figura. E’ richiesta solo una maggior cura per la sua ottimale conservazione da parte dell’utilizzatore finale. Assolutamente sconsigliato avvicinarlo a fiamme concentrate ed a soluzioni chimiche detergenti anche comuni; attenzioni peraltro consigliabili in ogni caso per tutte le pietre preziose e semipreziose e tutti i classici materiali ornamentali quali perle, coralli ed avori.

 

                                                             @Marcello Parrini (2012)

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